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Non è vero che il lavoro manca!

Lo ribadisco, il lavoro c'è! Semmai, dovremmo dire che manca il lavoro pagato.

Ecco, questo è quello che i mass media nazionali omettono di dire, perché dire ciò equivarrebbe ad ammettere l'incredibile numero di cazzate (tra governi di destra e sinistra, sindacati ed enti sovranazionali e sovra-governativi) realizzate nei ultimi vent'anni ai danni di quel piccolo ed insignificante ometto (e donnetta) che è il lavoratore.


Nella mia umile e personale esperienza lavorativa che supera i trent'anni, sono stata dipendente, titolare di azienda, libero professionista, libero professionista mascherato da dipendente e dipendente mascherato da libero professionista; come si dice di tutto e di più, con il solo e unico scopo (lo giuro) di lavorare e tirare a casa uno stipendio decente.


Correva l'anno 1990 quando iniziai a lavorare in maniera continuativa (e coordinata!) nei panni di un vero dipendente, assunta con contratto a tempo indeterminato da un azienda grafica; quest'azienda ha investito buona parte del suo tempo ad insegnarmi le arti magiche della grafica "analogica" (quella che si faceva con diatype, pellicole, camera oscura, reprocamera eccetera). La General Graphic è stata il mio battesimo al lavoro e forse l'ultimo esempio di un'azienda che investe sul lavoratore.


Alla fine del 1992 già ne ero fuori, perché l'azienda in questione era stata schiacciata dalla prima vera crisi pesante che si sarebbe manifestata in tutta la sua interezza nel 1993, anni in cui Amato era al governo e Berlusconi, succeduto a Ciampi due anni dopo, dichiarava che era meglio lavorare in maniera precaria che non lavorare affatto.


Noi cinquantenni di oggi, lavoratori occupati di lavoro gratuito, siamo figli di quel modo di pensare, figli di quell'ignoranza diffusa che ha magnificato una costante deregolemntazione del lavoro a tutto vantaggio di pochi, soprattutto figli di un'economia che ricordava un'economia del prodotto e vive oggi di economia di servizi (il terziario).


La politica ignorante e supponente (fatta di finti tecnici ed economisti da quattro soldi), ha lentamente ma inesorabilmente spostato centinaia di migliaia di lavoratori, che fino a ieri lavoravano come dipendenti, nell'ambito del lavoro autonomo, generando non solo un diffuso precariato ma inserendo in un mercato lavorativo già di per se difficile, persone scarsamente preparate ad un modello di autonomia a cui non erano abituati.

Ecco allora saltar fuori dal cilindro del mercato libero, il cugino grafico, lo zio fotografo, l'amante direttore marketing, nonché il barista metalmeccanico e l'imbianchino ex agente di commercio... ah, mi sono dimenticata l'agente immobiliare ex avvocato.


Un libero professionista contemporaneo, non può non fare i conti con il passato e accorgersi di come oggi ottenere un compenso congruo e, in generale, un rispetto della professionalità che si mette in campo è diventato davvero difficile. Questo perché, a mio avviso, si ha troppo a che fare con lavoratori (autonomi e non) che non comprendono "il valore del lavoro", che non hanno dimestichezza con la determinazione di un prezzo o di un'ora di prestazione, le innumerevoli regole del lavoro autonomo, le disgraziate conseguenze delle leggi in termini di burocrazia e fisco. In poche e sacrosante parole, lavoratori ignoranti (perdonatemi il termine).


La libera professione e il lavoro autonomo devono essere una scelta di vita e non il frutto di politiche nazionali asservite alla visione (del tutto personale) di speculatori e imprenditori senza scrupolo che hanno come unico e solo scopo quello di aumentare il proprio capitale a la propria qualità di vita.


Qualcuno salterà fuori asserendo che «se sei un vero professionista, gli altri ti rispetteranno» (tutto già visto e sentito), ma in realtà, anche confrontandomi con altri colleghi, ci si rende conto che le cose non stanno così. Troppo spesso mi trovo a dover giustificare prezzi e prestazioni, dovendo fare i conti con altrettanti lavoratori chi reputano che il tempo non abbia valore, che il pensiero (o le idee, se volete) non debba essere pagato, che siccome non si produce un prodotto 'tangibile' non si possa determinare la prestazione alla stregua di un idraulico, che la consulenza non produca un beneficio all'interlocutore e pertanto non debba essere quantificata.


Forse perché non tutti possono essere imprenditori, liberi professionisti e lavoratori autonomi, laddove per me l'autonomia è una scelta non tua ma del tuo datore di lavoro (pertanto potrei asserire che non autonoma!).


Voglio chiudere questo piccolo pensiero citando un articolo de Il Fatto Quotidiano in tema di precariato del 31 agosto 2018:

«In Italia negli ultimi 30 anni per il precariato è stata scelta una “politica per l’inferno”. Una politica caratterizzata da un aumento frenetico della liberalizzazione delle istituzioni del mercato del lavoro che ha massificato l’impiego di contratti di lavoro radicalmente contingenti. Questa dinamica, energicamente accelerata dagli ultimi due governi di centro-sinistra (2014-2018), ha determinato una crescente insicurezza non solo tra gli esclusi ma anche tra gli inclusi del mercato del lavoro... La questione, quindi, non è più quella di determinare transizioni positive verso il mercato del lavoro, il problema sta proprio nel mercato del lavoro.».

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